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. Ceruleo, glauco, celeste … piccola storia del blu
Se Michel Pastoureau fosse italiano, non avrebbe omesso dal suo Bleu. Histoire d'une couleur la celebre canzone di Domenico Modugno “Nel blu dipinto di blu”, né, presumibilmente, “Azzurro” di Paolo Conte-Adriano Celentano, o il romanzo Almost Blue e il programma televisivo Mistero in blu (poi divenuto Blu notte ) di Carlo Lucarelli. Ma Pastoureau, direttore dell' Ecole pratique des hautes études e titolare della cattedra di Storia del Simbolismo in Occidente, è ampiamente giustificato. Massimo esperto di storia dei colori a livello internazionale, e già autore, fra gli altri, di L'uomo e il colore (1987) e de Il piccolo libro dei colori (con D. Simonnet, 2006), propone in Blu. Storia di un colore (Ponte alle grazie, 2008, pp. 237, già uscito in precedenza in edizione illustrata) la storia sociale del colore blu, in tutte le sue sfumature, dal neolitico a oggi. Interessato in primo luogo a indagare la costruzione culturale del colore come terreno transdocumentario e transdisciplinare, Pastoureau utilizza parametri storici, antropologici, sociologici, etimologici, araldici, attingendo da un lato dagli studi culturali e materiali, e dall'altro dando ampio spazio al valore dei simboli, ai codici religiosi, ai risvolti politici e anche agli aspetti puramente tecnici che intervengono nella scelta e nell'utilizzazione di un dato colore in ogni ambito della vita, pubblico o privato. Concentrandosi soprattutto sul blu, Pastoureau ne segue la storia suggestiva: da colore di second'ordine, negletto, quasi invisibile (per esempio, è quasi del tutto assente nella liturgia religiosa, pur essendo assimilabile alla “luce celeste”), il blu acquisisce importanza nel corso dei secoli: vuoi per il progresso delle tecniche di tintura, vuoi per la complessità di una società che non si accontenta più dei tre colori di base (bianco, rosso e nero), vuoi per via del “sorpasso” rispetto al verde (che, si scopre, non è un colore primario, mentre il blu sì), vuoi sull'onda della diffusione del culto mariano, vuoi grazie all'impulso della Rivoluzione Francese e Americana che lo scelgono per le loro bandiere, il blu si trova al centro di una profonda mutazione culturale che progressivamente lo porta a una posizione di prim'ordine. Il blu sopravvive (e anzi si fortifica) anche in due periodi storici particolarmente critici: quello della Riforma protestante e l'epoca romantica. Nel primo, s'impone come colore “morale”, vicino al nero e dunque scevro da concessioni alle frivolezze, e distante dai colori più legati al peccato quale il rosso (si pensi a La lettera scarlatta di N. Hawthorne). Nel secondo, si impone come colore “romantico”, il noto “blu romantico” o blu di Werther”). Infine, l'era della produzione di massa ne sancisce definitivamente il primato grazie ai blue jeans, sulla cui storia e diffusione l'autore si sofferma a lungo. Il tutto è corredato da un apparato di note straordinario e da un'ottima bibliografia. Il libro è validissimo sia per gli studiosi sia per i meno esperti: è scritto in modo scorrevole ed è assolutamente affascinante. Se si vuole trovare il pelo nell'uovo, l'unico appunto che farei all'autore è di avere ignorato o toccato appena alcuni contributi che ritengo fondamentali nel secolo scorso e nel nostro presente. Il primo è l'apporto della cromoterapia e in particolare della cromopuntura, una terapia legata all'uso dei colori e basata sui meridiani dell'agopuntura cinese. Se quest'ultima è orientale, dunque esula dai contenuti di questo libro, esclusivamente dedicati all'Europa e all'Occidente, la cromopuntura nasce proprio nella Mitteleuropa, quindi rientrerebbe a pieno titolo nella trattazione. Si tratta di un trattamento naturale, non invasivo, messo a punto da Peter Mandel (il fondatore della medicina esogetica) negli anni settanta e tuttora utilizzato dai naturopati in tutto il mondo. Il blu secondo questa tecnica serve per sfiammare, ed è indicato in casi di febbre o dolore acuto. Terapie affini (training autogeno, visualizzazione guidata, ecc.) raccomandano il blu per il rilassamento e la meditazione. E ' probabile che Pastoureau liquidi quanto sopra nell'Introduzione, laddove cita (facendo di ogni erba un fascio, e con un tono ostile che non si ritrova in nessun'altra parte del libro) “certi libri che si basano su un sapere neurobiologico mal digerito o – peggio – che cadono in una psicologia esoterizzante da quattro soldi” (p. 5)”. Peccato, perché credo che lo sguardo dello storico e dell'antropologo dovrebbe abbracciare la storia della cultura tutta, senza cadere in generalizzazioni basate su pregiudizi (o su giudizi) che, se sono giustificati da parte, diciamo, di un medico o di un fisico, poco si addicono a mio parere a uno studioso dei movimenti sociali e dell'universo simbolico. Il secondo contributo su cui avrei speso qualche pagina in più è l'antifascismo, che ha dato al blu un impulso notevole in quanto prendeva le distanze dall'ideologia che il nero rappresentava (per tornare in campo italiano: “Personalmente austero vesto in blu perché odio il nero”, cantava Guccini in una sua vecchia canzone). Il terzo e più recente contributo è dato dalla mobilitazione ecologista: dal “bollino blu” per i gas di scarico alle “strisce blu” per la regolazione della sosta, il blu è il colore numero uno dell'ecologia. Per richiamare l'attenzione sull'ambiente, il blu ha infatti ormai superato anche il verde, più legato ad ambienti rurali, mentre il blu interessa tutti noi in quanto è il colore simbolico dell'acqua che beviamo e dell'aria che respiriamo. (a.c.)
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