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Zen e disarmonia

 

 

Horror Pleni. La (in)civiltà del rumore (Gillo Dorfles, Castelvecchi, 2008, pp. 325) è un bel libro sull' eccesso di rumore, sia visivo sia auditivo, e sulla “sensorialità offesa e degradata”. Dalla pecora Dolly al pulcino Tamagotchi, dal kitsch al post-umano, l'autore si interroga su alcuni “mali” della nostra contemporaneità, ove l'eccesso di informazione genera una globalizzazione incontrollata e l'estetica del virtuale rischia di spegnere “il gene del genio”. La moltitudine e il rumore ci circondano e ci confondono: non solo con i segni contraddittori della comunicazione politica (le sue “raffiche di accuse, smentite e controsmentite”), ma anche i graffiti (“milioni di scarabocchi”), l'ibridazione transgenica, lo spettacolo quotidiano della TV, l'uso privato dei new media la cui “saturazione percettiva” annulla il tempo libero e porta all' “annichilimento sensoriale”, il conformismo sociolinguistico, la tendenza attuale verso “il discontinuo, il policentrico, l'asimmetrico, il disarmonico”.

     E' proprio su quest'ultima parola, ovvero sul concetto di disarmonia, che vorrei soffermarmi (pp. 223-229). Dorfles in un suo libro precedente ( Elogio della disarmonia , 1986) spiegava come disarmonia e asimmetria non contrastano affatto l'armonia, ma semplicemente affermano la possibilità di un'ottica diversa: questi due termini, infatti, “ci mettono di fronte al problema di indagare su come e perché nella più recente stagione dell'arte occidentale si sia verificata, e si verifichi, una tendenza che si può senza alcun dubbio accostare ad alcune costanti dell'estetica Zen”. La pianta tipicamente sghemba della sala da tè, gli haiku di 17 sillabe, la numericità mistica delle pietre nei giardini di sabbia ci portano a vedere possibili relazioni tra la nostra contemporaneità occidentale e l'antico mondo orientale: anche le nostre strutture architettoniche più recenti sono di fatto improntate alla leggerezza e alla forma libera, anche se i realtà ci parlano più di fragilità e transitorietà che non di una ricerca di semplicità e di diversa armonia (il principio di ukiyo o “mondo fluttuante”). Addirittura, per Dorfles solo raccogliendo questa eredità Zen potrebbe prospettarsi “un evolversi non disastroso e catastrofico della nostra età”. (a.c.)

 

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